Due volte Grecia
Il versante ionico dell’Aspromonte, nella provincia di Reggio Calabria, racchiude un’isola di sconosciuta bellezza: l’area grecanica. Isola linguistica, perché gli anziani di Gallicianò, Bova, Condofuri, Roghudi e di altri dieci paesi parlano ancora il grecanico, un dialetto greco-calabro che deriva dal greco bizantino o, forse, dal greco parlato nella Magna Grecia. E isola culturale, perché saperi, tradizioni e riti rimandano a un mondo perduto. In alcune chiese si è tornati a praticare il rito ortodosso, in altri luoghi si recuperano i vigneti originari per fare lo stesso vino che bevevano i Bizantini. Due volte Grecia, dunque, perché le radici magnogreche si sono rinnovate con la colonizzazione bizantina: infatti al Cristo Pantocratore furono dedicate le stesse attenzioni che alimentavano i culti del dio Sole. Il rito greco fu praticato fino agli inizi del XVII secolo quando le proibizioni del Concilio di Trento lo condannarono all’estinzione. Ma la lingua e le tradizioni della liturgia bizantina sopravvivono, seppure a fatica, in questi piccoli territori che hanno tutti in comune la xenìa, quel sacro senso dell’ospitalità, raro altrove, che ricorda l’origine greca.
La processione della Domenica delle Palme a Bova è uno dei pochi riti superstiti di passaggio dal paganesimo al cristianesimo: una forma di sincretismo religioso studiato da antropologi e storici delle religioni. Il rito consiste nel portare in processione le Persephoni, figure antropomorfe a grandezza umana, costituite da uno scheletro di canna su cui i contadini intrecciano ramoscelli d’ulivo adornati con fiori, frutti, nastri e merletti. È del tutto evidente il riferimento al mito greco di Persephone e Demetra, che racconta il ciclo delle stagioni e il ritorno della vita in primavera.
La bellezza selvaggia della Calabria Greca ci entra subito dentro: montagne, colline, cascate e fiumare, e poi il silenzio di borghi disabitati, di vecchie strade percorse solo dalle greggi dei pastori dell’Aspromonte. È la bellezza aspra di una terra ancestrale, poco umanizzata anche se a breve distanza dal mare. Le rocce raccontano stravolgimenti tellurici: una montagna che si è sollevata dalle profondità marine, ai tempi geologici della Tetide, formando balconi, pianori, terrazzamenti affacciati sul mare. Ma la fiumara che contraddistingue l’area grecanica è frutto dell’uomo: i disboscamenti delle colline provocano le frane che riempiono i letti dei torrenti e creano le fiumare.
La fiumara è un fiume immobilizzato, asciutto in estate, con la vegetazione che cresce intorno al suo letto, e pieno d’acqua in inverno. I paesi si fronteggiano l’uno con l’altro sulle rive più alte della fiumara e un tempo erano collegati da un sistema di mulattiere che consentiva di muoversi solo attraverso le fiumare. Dalla fiumara erano presi i materiali di costruzione: le pietre, arrotondate e inframmezzate di laterizi, e la sabbia, dello stesso colore della roccia su cui l’edificio è costruito. Le abitazioni, così mimetizzate nell’ambiente, erano invisibili ai pirati che venivano dal mare. Paesi che oggi si presentano slabbrati, erano costruiti con grande sapienza.
Le risorse vengono tutte dal territorio: il grano maiorcato per fare il pane e la pasta, il bergamotto, prezioso agrume che si coltiva solo nell’area grecanica, il miele, il carciofo selvatico, l’olio d’oliva, i formaggi caprino e ovino. Chi arriva a Bova è accolto in modo spontaneo da una comunità che non ha smarrito la memoria del suo passato e scrive i nomi delle strade anche in grecanico. I piccoli vicoli che all’improvviso spalancano spazi aperti, la piazza assolata, le case disabitate dove il paesaggio penetra nelle stanze vuote: Bova è un ambiente di luce e silenzio che invita alla calma. La chòra, il centro urbano, a 850 metri d’altitudine, abbraccia con lo sguardo tutta la costa. Antichissima sede vescovile, Bova ha una cattedrale documentata nel V secolo e ricostruita e ristrutturata più volte, dedicata alla Madonna della Presentazione o Isodìa. La cappella del Sacramento, all’interno, è opera di maestranze siciliane specializzate nella lavorazione dei marmi policromi intarsiati, e la statua della Madonna Isodìa col Bambino, è attribuita a Rinaldo Bonanno (1584). Bova ha mantenuto fino al 1572 il rito liturgico greco-bizantino e fu quindi una delle ultime diocesi italiane ad essere latinizzata dalla chiesa cattolica.
All’assetto medievale si somma in paese la presenza del tardo barocco e del Settecento, incarnata nelle facciate delle chiese di San Leo (1606), di San Rocco (1622) e dello Spirito Santo (1631), nel portale della navata laterale della concattedrale dell’Isodia, nel prospetto tardorinascimentale della chiesa del Carmine, nel portale della chiesa dell’Immacolata, opera di scalpellini locali. La Madonna con Bambino (1590) nella chiesa di Santa Caterina è attribuita alla scuola del Bonanno. Il castello normanno (secoli X-XI), ridotto a rudere, sorge in cima a uno sperone roccioso. Tornando in centro si ammirano i palazzi gentilizi settecenteschi Mesiani-Mazzacuva e Nesci Sant’Agata, in pietra e mattoni, arricchiti all’esterno da lesene, cornici, mensole e portali d’ingresso. A Bova Marina si trovano i resti di una sinagoga del IV secolo, rara testimonianza di tempio ebraico di età ellenistico-romana.


Dove mangiare e dormire
Cooperativa San Leo
Via Polemo
Tel: +39.347.3046799
Sito web: www.coopsanleobova.it
La cooperativa gestisce il soggiorno nelle case di proprietà delle famiglie locali secondo il modello dell’ospitalità diffusa, che ha le sue radici nella philoxenia, l’accoglienza sacra degli antichi greci. Anche il ristorante si ispira alla stessa filosofia proponendo piatti grecanici di derivazione agropastorale (lestopitta, tagghiarini ai ceci, maccheroni al sugo di carne di capra, suino nero di Calabria) spesso accompagnati da concerti improvvisati di musica popolare.