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CIVITA

Cosenza

Comignoli e case parlanti

Di notte, un fruscio di vento si nasconde nei dirupi. Di giorno, c’è la felicità di vivere in un mondo strambo. Abbiamo percorso la strada 105, sconnessa, piena di curve e tormentata dagli ulivi, per arrivare a Civita, paese dove ci sono piccole abitazioni che hanno occhi (le finestre), bocca (la porta) e talvolta naso (la canna del camino). Nel nostro sud ancora magico, e meraviglioso nella sua follia, abbiamo incontrato le stesse «case parlanti» in Basilicata, ad Aliano, il borgo in cui fu confinato Carlo Levi. E come Aliano, Civita è circondata da profondi canaloni, orridi e calanchi: un paesaggio selvaggio, molto «greco», dove i burroni sono ingentiliti da macchie d’oleandri.

Al pari di molti paesi calabresi dell’interno che hanno una parte disabitata e fatiscente, anche Civita ha le sue crepature, case collassate e vicoli morti; nondimeno, è un borgo fantastico. È uno dei 25 comuni arbëreshë della provincia di Cosenza, fondato intorno al 1467 da profughi albanesi rifugiatisi in Calabria per sfuggire all’occupazione turco-ottomana dei Balcani. Protetti da Irene Castriota Skanderbeg, moglie del principe di Bisignano e pronipote dell’eroe nazionale albanese, si stanziarono in queste zone conservando le loro tradizioni come il rito greco-bizantino, officiato ancora oggi a Civita nella chiesa di Santa Maria Assunta (dove però l’iconostasi è recente, di trent’anni fa).

Non è chiaro se il nome del paese derivi da çifti, che in arbëreshë significa «coppia» (in riferimento ai due rioni di Sant’Antonio e Magazeno), da qifti, «aquila», o dal latino civitas. È certo che, se si dovesse pensare alla morfologia del luogo, il nome giusto sarebbe il secondo, «nido d’aquila», perché il paese, nascosto tra le rocce per evitare lo sguardo predatorio dei Saraceni, è un vertiginoso belvedere, una visione d’aquila sul mare Jonio.

Civita è una pianta di melograno incastonata tra i  muri.  Un  gallo  che  canta in ritardo perché è pomeriggio. Gradini sbrecciati dedicati al riposo di cani e gatti. Le rughe (i vicoli stretti) tutte in salita si dipartono con andamento circolare verso le piazzette – qualcuna con fontana in pietra dell’Ottocento – che collegano i vari nuclei urbani (gjitonie in albanese). Il quartiere vecchio di Sant’Antonio (Sinandoni) con le sue casette basse, i suoi segni disfatti, le sue persone anziane sedute davanti alla porta di casa, regala immagini d’altri tempi.

Civita fa parlare le case e anche cantare i tetti: abbelliti, o piuttosto resi inquietanti, da comignoli dalle forme minacciose per tenere lontani gli spiriti, realizzati da mastri muratori forse già nel Seicento. C’è qualcosa di selvaggio, di barbarico, in questo paese che ha la montagna alle spalle e il mare di fronte. Le finestre vuote di una casa abbandonata tra un cespuglio di fichi d’India e un ulivo contorto, sono forse un alfabeto di segni e figure che noi non decifriamo, come le rocce antropomorfe della valle del Raganello, uno dei posti più spettacolari del nostro Paese. Dal borgo si scendono oltre seicento gradini, per un chilometro di lunghezza e 250 metri di dislivello, e si arriva al Ponte del Diavolo. Siamo in un paesaggio rupestre d’intatta bellezza: un canyon con le gole più lunghe d’Italia e un’imponente parete rocciosa sempre davanti come un fondale teatrale.

 

Dove mangiare

Kamastra

Piazza Municipio, 6

Tel: +39.0981.73387
Sito web: www.kamastra.net

Specialità calabresi e albanesi come bakalla me tumac, la pasta al sugo di baccalà.

Dove dormire

Il Comignolo

Viale Arberia 64

Tel: +39.340.5149030
Sito web: www.ilcomignolodisofia.it

B&B di sapore, ricavato da un’antica casa di recente ristrutturazione.