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PENTEDATTILO

Reggio Calabria

La mano di pietra

Tetti sfondati, case vuote, spaccate, a bocca aperta, mucchi di sassi e calcinacci: attenti a salire a Pentedattilo la notte del 16 aprile, quando tra i vicoli del borgo abbandonato potrebbero materializzarsi fantasmi, figure sfuggenti e urlanti di madri e bambini inseguite da ombre che impugnano coltelli. Sono i protagonisti di una tragedia che la tradizione vuole si rinnovi nel ricordo ogni anno: la strage degli Alberti, dal sapore shakespeariano, ha segnato per sempre il destino del paese, impresso– si dice– nella forma della roccia che lo sovrasta.

Pentedattilo (o Pentidattilo)   ha   un nome greco – penta daktylos – che deriva dalla colonizzazione dei Calcidesi nel VII secolo a.C. o dalla dominazione bizantina, e significa «cinque dita»: sono le dita della mano di pietra formata da cinque rocce, prima che si smussassero o crollassero, ma ancora visibili. Per la leggenda è la mano del diavolo, che insanguinò le dita di roccia la notte di Pasqua del 1686, quando riesplose la faida tra due famiglie nobili. Per ricomporre l’antico conflitto, il barone di Montebello, Bernardino Abenavoli, aveva  pensato di chiedere in sposa al marchese di Pentedattilo, Lorenzo Alberti, la sorella Antonietta. Ma quando l’Alberti acconsentì  al  matrimonio  di  Antonietta  con il figlio del primo consigliere del viceré di Napoli, si scatenò la furia omicida di Bernardino di Montebello. Penetrato con i suoi scherani nel castello degli Alberti, grazie al tradimento di un servo, uccise nel sonno Lorenzo e la maggior parte della sua famiglia. La vendetta del viceré non si fece attendere: sbarcato in Calabria, catturò sette degli esecutori della strage, tagliò loro le teste e le appese ai merli del castello di Pentedattilo.

Le stesse rocce che avevano assistito alla tragedia, squassate, come le case, dai terremoti del 1783 e del 1908 e da altre devastazioni, rischiavano di franare sul borgo, che già nel 1811 aveva perso l’autonomia per diventare qualche anno dopo una frazione del nuovo Comune di Melito di Porto Salvo, formatosi nella marina. Negli anni Sessanta del Novecento un’ordinanza comunale sancì il definitivo abbandono di Pentedattilo, considerato a rischio di crollo. Resta oggi la visione – romantica come quella di ogni rovina – di un presepe intagliato nella roccia, con le sue stradine ripide e le case basse talvolta collegate da archi e unite alla stalla e al forno. Paese di contadini, con un’economia povera, fu però, nei secoli X e XI, roccaforte bizantina contro gli Arabi di Sicilia.

Il borgo impressionò il pittore e viaggiatore inglese Edward Lear, che lo visitò nel 1847 e così lo descrisse nel suo Diario di un viaggio a piedi: «L’apparenza di Pentedattilo è perfettamente magica, e ti paga qualunque sacrificio fatto per raggiungerlo. Selvagge sommità di pietre spuntano nell’aria, aride e chiaramente definite in forma di una mano gigantesca contro il cielo, e nelle spaccature a crepacci di questa spaventosamente selvaggia piramide, le case sono incuneate dentro, mentre tenebre e terrore covano sopra l’abisso attorno ad esse, la più strana abitazione umana».

Come Lear, anche noi arriviamo a Pentedattilo a piedi, risalendo il letto della fiumara dalla Strada Statale 106 e inerpicandoci per un sentiero tra mandorli e fichi d’India. Due ore di passeggiata nel territorio più meridionale della Calabria, con la vista del mare sullo sfondo. L’Etna, ben visibile, annuncia la vicina Sicilia.

Benché svuotate e depredate, le chiese testimoniano la storia di Pentedattilo, che fu tra i primi insediamenti monastici orientali nella provincia di Reggio: la messa vi si celebrò con rito greco fino al 1655. Quando si indebolirono i legami con la chiesa d’Oriente, i Greci di Calabria acconsentirono a introdurre nei loro luoghi di culto effigi come la cinquecentesca statua in marmo bianco della Madonna conservata nella chiesa domenicana di Santa Maria della Candelora, probabile trasformazione di una chiesa bizantina dedicata alla Madonna Ypapanti. Questa Madonna con il bambino in braccio, recentemente attribuita allo scultore messinese Giuseppe Bottone, spicca «nelle movenze di una sovrana orientale» nell’affascinante paesaggio diroccato di Pentedattilo, come ha scritto lo studioso Nicola Ferrante.

Le case smozzicate sotto la rupe rossastra sono oggi un’immagine della Calabria che fu. Non deturpato dalla solita follia edilizia, il borgo ha cominciato a salvare dall’inesorabile disfacimento le strutture superstiti. Grazie all’associazione Pro-Pentedattilo sono state restaurate alcune case e alcune chiese. La vita ritorna: è la ginestra che spunta tra le rovine.

Questo scenario di architettura fantastica è la perfetta ambientazione per iniziative culturali di rilievo come il Pentedattilo Film Festival dedicato ai cortometraggi, il Festival di Fotografia consacrato al paesaggio, e Paleariza, la rassegna etno-musicale dell’area grecanica.

Lasciamo una Calabria «fiaccata – come scrive Vito Teti – da decenni di fughe, di abbandoni,  di  distruzione  di  economie e di  culture,  di  promesse,  di  illusioni, di disincanti». Ma lasciamo questa regione di luoghi persi con un rosario di ricordi e la speranza che ci chiama per nome.

Dove mangiare

Agriturismo Mille Sapori

Via Provinciale, 42 – Melito di Porto Salvo

Tel: +39.0965.787429 – +39.368.7472599
Sito web: www.agriturismopentedattilo.it

Sulla collina di Pentedattilo, il ristorante propone la tipica cucina casereccia calabrese, dove spiccano soprattutto gli antipasti con salumi, frittelle di fiori di zucca, peperoni ripieni, ricotta, olive sott’olio.

Dove dormire

Le Terrazze sul Mare

Via Fratelli Rosselli, 22 – Melito di Porto Salvo

Tel: +39.346.532.7425

A poche decine di metri dalla spiaggia, dalla stazione ferroviaria, dal corso cittadino con le sue palme, e a 4 chilometri da Pentedattilo, questo B&B offre una sistemazione piacevole ed economica.